Come una piuma di ferro

L’ambiente era malsano, l’aria fredda, nessuno di noi emanava calore. Ero ansioso di farmi trasportare. Era strano questo pensiero, volevo volare da fermo, volevo sparire senza lasciare traccia. Niente era ciò che ero e niente era ciò che volevo lasciare.

Il primo che si fece fu Marco, poi Nicolò, Nik per gli amici. Toccava a me. D’improvviso un rumore, come un sussulto, un raschiare di gola interrotto. Nik si era accasciato sulle scalinate e stava rotolando giù, gradino dopo gradino, sbattendo ovunque. Quel tonfo persisteva, quel rauco grido di anima che continuava a graffiargli la gola mi stava perseguitando. Mi guardai intorno in cerca di qualcosa che mi potesse aiutare: un amico, un’amica, un fratello, un genitore, una mano che non fosse mangiata dall’impotenza, dall’impossibilità di agire. Provai goffamente a toccarlo, spostandogli la testa e cercai di stenderlo su un fianco. Il suono cambiò. Un rantolo, un fischio. Sempre più lieve. Come uno svanire della vita. “Marco aiutami!”. Urlai dentro la mia testa che velocemente si voltò in cerca di quella mano tanto bramata. Era lì, di fronte a me, steso, impassibile lungo il muro, come se stesse dormendo. Gli corsi incontro. I tre scalini e il piccolo pianerottolo erano interminabili, mi sembrava lontano, troppo distante, dovevo correre! Il corpo non rispondeva, cercai allora conforto nell’incrocio degli sguardi. Gli occhi di Marco erano ribaltati, come se stessero guardando dentro, per fare il resoconto della propria esistenza, lasciando fuori chiunque volesse capire e sapere. Presi il telefono – 118. Composi il numero, sarebbe finito tutto finalmente. Dovevo farmi. Stavo impazzendo. Nik e Marco. Ragazzi ma cosa cavolo è successo? Sono ancora in tempo per cambiare tutto, ho solo 16 anni: scuola, ragazze, basket. È tutto lì. Domani, troverò una soluzione. Ma ora c’è lei. L’eroina. Veloce, immediata, calda, accogliente. Arriva alla testa, non smette, continua a salire, non so dove, ho finito i centimetri. I muscoli cominciano a essere difficili da gestire. Aspetto. Nel frattempo mi sdraio al fianco di Nik. Ha le palpebre chiuse. Penso sia morto. Chiudo gli occhi. Chiudendoli sicuramente riuscirò a distogliere il cuore da tutti i miei stupidi rimorsi. Guardo Marco, anche lui sembra essere volato via. Arriverà qualcuno. A questo punto spero di no. Penso a centinaia di cose, è questo forse che si intende quando si dice: “tutta la vita davanti”. Cerco di pensare ai momenti belli. Se devo morire che almeno mi accompagni un bel ricordo. Penso alla luce; un’ombra oscura, nessuna bella rimembranza. L’attività rallenta, rallenta tutto, il pensiero è più fluido, più calmo, come arreso al futuro. Mi raggomitolo di fianco, la testa appoggia sul gradino, duro inizialmente quanto morbido poi, quando nel totale abbandono cominciai ad immaginare, a pensare, a concludere capitoli aperti, a chiudere finestre ancora spalancate. Non ricordo nessun rimorso di quell’attimo, tutto era così perfetto. Per l’ultima volta. Pacato e calmo pensavo a come nel fiore della gioia giovanile potessi svanire così, in una palazzina bolognese in mezzo ad anguste mansarde condominiali. Nascosti dalla neve che, con altrettanta calma, si stava adagiando su tutta la città. Sapete, non avevo programmato nulla, non mi ero divertito la sera prima con ragazze ed amici, non avevo baciato nessun familiare, non avevo mai sorriso della vita. Ero pesante nel mio essere leggero perché quasi morto, ed ero leggero nel mio essere pesante perché ancora vivo. Avrei preso il volo, ma sarei rimasto lì insieme al mio pensiero. Così tartassante. Mi tratteneva. C’era ancora qualcosa da fare. Il tempo passava amaro. Finalmente. Sta arrivando qualcuno. Svanisce tutto. È lo stesso volo ma ricado giù. Come una piuma di ferro.
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.